giovedì 28 febbraio 2013

Niente di che.

Sono un pò confusa in questi giorni, ma non centra nulla la mia condizione di abortiva latente.
La condizione di confusione è dettata da quello che mi capita di ascoltare intorno a me.
Mi mette paura il qualunquismo, la non coerenza, la superficialità, la dissacrazione a tutti i costi.
Ieri sera erano nostri ospiti due ragazzi, figli di ex vicini dei miei suoceri, classe '84 o giù  di lì, che normalmente adorano mio marito, che considerano come un fratello maggiore. Sono rimasta basita e infastidita dal loro porsi di fronte la questione italiana. Ma non ne faccio un problema politico. Mi dispiace sentire il cinismo e la supponenza e l'arroganza con cui molti si stanno ponendo, pensando di avere ragione, come si stesse giocando un derby di calcio.

A me non interessa avere ragione.
Credo profondamente nelle istituzioni, per le quali prima di noi, altri italiani sono morti.
Credo profondamente nel coraggio, nella forza dell'onestà, nell'amore per il mio paese.
Mi sono addormentata con la pena nel cuore: mi dispiace per tutto quello che tanti giovani si sono persi, si stanno perdendo e per la rabbia e la paura mascherata da menefreghismo.
Come scrivo continuamente per la situazione che più mi caratterizza, la paura va affrontata, il dolore anche.
Nasconderli non ci aiuta.
Lo ammetto.
Mi sono sentita vecchia.
Alla fine anche io mi arrocco su una posizione, quella dell'esperienza.
E questo vuol dire invecchiare.
Bene però.


Oggi la mia insegnante di yoga mi ha "confezionato" una nuova lezione, fatta apposta per me.
Mi ero sfogata anche con lei per il mio modo di assorbire la tristezza e la rabbia altrui, e di quanta energia mi viene sottratta. Abbiamo lavorato sul quarto chakra, quello del cuore.
Sto imparando a liberarmi di tutte le zavorre che fino ad ora hanno appesantito la mia esistenza, e per me, con il mio carattere è un'altra conquista. Un altro pezzettino sul mio cammino.
Avverto un profondo cambiamento, una radicale modificazione del mio essere.
Mi sorprendo per questo, ma forse le cose non potevano andare diversamente. Forse era necessario davvero tutto questo e comunque sarebbe accaduto.
Sto imparando ad accettare.
In fondo quello che ho sempre fatto fino ad oggi è stato non voler guardare quello che accadeva, per non crollare. 
Oggi quello che faccio è guardare il presente e al futuro con accettazione, che non vuol dire arrendermi, vuol dire essere presente a me stessa, vuol dire andare avanti con cognizione, lucidità e amore.
Amore per guarire.
Per portare a casa i miei figli.
Essere un'abortiva vuol dire questo.
Per me.
Fare i conti con una me stessa che non sapevo esistesse.
Niente di che.



martedì 26 febbraio 2013

a volte

fonte


Le persone intorno a me sono tristi.
Arrabbiate.
Nervose.
Io mi siedo, osservo, al centro di un cerchio.
Mi immagino con un piatto di pappabuona in grembo ed un cucchiaio in mano.
Mi giro in tondo e dò un cucchiaio ad ognuno.
Sono persone a cui voglio bene, dò un pò di pappabuona a tutti e giro. giro. giro.
Si tengono per mano, non tutti si conoscono. Il tenersi per mano è il simbolo del legame con me. Pur non conoscendosi hanno in comune me.
Ed io li osservo.
Sono arrabbiati. Non sono felici. Sono nervosi.
Le persone a cui voglio bene non sono felici.
Ed io mi sento che posso fare qualcosa, faccio qualcosa, dò un cucchiaio di pappabuona.
Però a volte mi stanco.
Stasera sono stanca.
Accumulo positività, costruisco, ogni giorno. Metto da parte tutte quelle cose che una volta mi procuravano ansia, paura, insonnia. Metto da parte in un angolo e guardo avanti. Cerco il bene di tutta questa storia. Non voglio fermarmi.
Ma non basta.
Non basta mai.
E ogni tanto cado.
Crollo.
Come stasera.
e poi cerco di respirare.
E poi mi mancano.
Mi mancano tutti i miei bambini e quello che potevano essere oggi.
Ed è difficile guardare sempre avanti e mai voltarsi indietro se gli altri sono sempre arrabbiati, mai felici.
Me ne accorgo dai loro occhi. Li osservo spenti. Intenti a raggiungere quel qualcosa che non conoscono. Ed è un peccato. Un vero peccato. Che la vita è solo questa ed è difficile viversela bene.
Ed io non ce la faccio.
Non ce la faccio da sola.
E mi sento invecchiata.
Per la prima volta.
Lo ammetto.
Sento scorrere il tempo e mi guardo.
A volte le forze vengono meno e sento di non farcela.


venerdì 22 febbraio 2013

le mie mani


"Dove va la mano, vanno gli occhi, 
dove sono gli occhi è l'attenzione, 
dov'è l'attenzione è l'emozione e, 
con essa, l'estasi vibrante."
Nàtya Shastra



Oggi ho imparato che posso farcela.
Durante la lezione di yoga ho imparato a sviluppare l'energia e il potere delle mie mani.
Erano anni che mi ero accorta che le mie mani erano in grado di dirmi delle cose.
Ed io non le ascoltavo.
Eppure, la sentivo quell'energia.
A volte, di nascosto di Fab, mentre lui dorme, avvicino le mani al suo viso, senza toccarlo.
Lo osservo, in silenzio e tengo le mani su di lui.
Lui si sveglia, e ad occhi chiusi mi dice di smetterla, perchè le sente.
Oggi ho imparato, durante un esercizio, a catalizzare questa energia.
Poi, la mia insegnante mi ha detto di mettere le mie mani su una parte del mio corpo di cui desideravo la guarigione.

Ho messo le mie mani sulla mia pancia.

Così.
Li ho sentiti.
Ho visualizzato il mio utero vuoto e poi tutta la sofferenza passata di lì.
Poi ho sentito tutto il dolore.
E poi l'immensa potenzialità che la maternità mi ha donato.
E sono rimasta così, in ascolto, finchè quell'energia non si è esaurita.
Ho aperto gli occhi e piangevo.
Non riuscivo a smettere.
E allora la mia insegnante mi ha detto di non smettere, di buttare fuori tutto.
E per fortuna che a lezione ero sola, che all'ora di pranzo non c'è nessuno, e lei, che è una ragazza dolcissima che ho amato come un'amica, da subito, dalla prima lezione, mi ha abbracciato alla fine e ha sorriso.
Ed io ero felice.
Sono felice.
Di aver pianto davanti ad una sconosciuta in un momento di un'intensità estrema.
Di aver imparato che posso farcela con degli strumenti che ho sempre avuto a disposizione.
Di aver visualizzato il mio utero, finalmente, dopo tutto questo tempo.
Il luogo che ha accolto e che accoglierà.
Di essere pronta ancora una volta, ad affrontare una me stessa completamente sconosciuta.
Una me stessa che i miei figli mi hanno restituito, prima appannata, e ora limpida. Nitida.

Poi stasera ho incontrato il mio dott.
E ho rivisto il mio utero, in 3d stavolta. E ho sorriso stavolta.
Avevo dimenticato che avrei dovuto controllare una ciste disfunzionale, regalino dell'ultimo aborto, e che è andata via, insieme a questo ciclo.
Un ciclo che avrebbe dovuto darmi delle risposte, che avrebbe dovuto restituirmi una Anna pronta a ricominciare.
Non è stato così.
Ho passato giorni divisa a metà.
Tra l'accogliere di nuovo e il raccogliere me stessa.
Ho scelto me stessa.
E mi sono sentita in colpa per questo.
Sono stata a trovare i miei piccoli a natale, siamo stati lì fuori, ed era solo un bisogno egoistico, mascherato di una maternità che credevo fosse l'unica cosa, la più importante della mia vita.
Se io, sono la prima a non crederci, la prima a mollare, come possono farcela i miei bambini?

Ma non è andata così.
Così sarebbe andata con una vecchia me.
Questa me stessa invece, pensa che il tempo in più le serve per preparare un terreno di accoglienza, dove il mio cuore è guarito, dove la paura ha un posto, ma è contenuto, dove il dolore ha un angolo ma non è acuto, dove il respiro non è mozzato, è profondo e lento.
Inspirazione. Espirazione.

E di questo ringrazio i miei figli.
Tutti i miei figli passati per questa pancia.
Tutte le vite iniziate e poi finite e poi ricominciate altrove.
Perchè voi, figli, iniziate da quando quelle due cellule si uniscono e si riproducono.
Perchè mi insegnate, ogni giorno, a vivere una vita che io non conoscevo.
E come si fa a non considerarle vite queste?


Intanto ho ripreso a fare il pane con la pasta madre a quasi un anno dalla prima volta.
Con il pane con i denti.
L'ultima volta invece, che l'ho fatto era il 14 maggio, il giorno della geu. Ho smesso di impastare e poi mi sono messa a letto perchè il dolore era insopportabile.
Ho lasciato morire quella pasta madre.
Così, nel frigo.
Stasera ho impastato il nuovo pane.
Con le mie nuove mani e la mia nuova pasta madre, e visto che me l'ha regalata Valeria che è una donna incinta, magari è ancor più piena di vita che si riproduce.


Intanto ho comprato un rosa viola da piantare.
E' il tempo giusto.
L'ho comprata per la mia  bambina che crescerà insieme a questa rosa.
Domani pioverà.
Domani pianterò la rosa.







martedì 19 febbraio 2013

IN-decisione IN-divenire IN-cosciente IN-capace


Confusione

Il mio cuore
è il tuo cuore?
Chi mi riflette pensieri?
Chi mi presta
questa passione
senza radici?
Perchè il mio abito cambia
colore?
Ogni cosa è crocevia!
Perchè vedi nella melma
tante stelle?
Fratello, sei tu o
o sono io?
E queste mani così fredde
sono di quello?
Mi vedo nei tramonti,
e un formicaio di gente
mi cammina nel cuore.


Federico Garcia Lorca




sabato 16 febbraio 2013

Pezzoperpezzo

ecco.
che poi ho la schiena piegata in due e le dita delle mani che bruciano,
dopo una giornata iniziata stamattina alle 4.30 con la testa che frullava e poi conclusasi stasera alle 20.30 con il corpo.
che mi serve catalizzarla così la paura.
Rinnovando.
Cambiando.
Ristrutturando.
Lo sto facendo di continuo.
Fino a spezzarmi la schiena.
Poi guardo i risultati e sono così soddisfatta che poi tutto il resto, non conta più.
E così stavolta è toccato al bagno.
Pezzoperpezzo
smantello la casa e la vita.


L'avevo già detto che stavo preparando il loro arrivo vero?









Postilla:  il bagno è finito! E il risultato finale è questo!






venerdì 15 febbraio 2013

Chi me la fa la giustificazione?


Eccoci.
Siamo tutti qui.
Tutte le sere, tutto il giorno, ventiquattro ore su ventiquattro.
Noi luci accese e quel peloso laggiù con la faccia da folletto.
La mamma passa da queste parti tutte le sere, dice "buonanotte ragazzi"  e ci lancia un bacio.
Poi mette a letto il peloso e gli sussurra nelle orecchie "Dì ai miei angeli che sto arrivando, che ora li vengo a prendere" e la giornata finisce.
Ogni giorno.
Da quel giorno.

E noi aspettiamo.
Aspettiamo.



Sono giornate in bilico.
Un perfetto equilibrio tra l'essere e il sarà. 
Mi piacerebbe rimanere così. 
Perfettamente stabile senza aspettare il disequilibrio, l'evento che cambia la vita, il rimandare, la cadenza del tempo.
Mi godo un bicchiere di vino, il divano con la coperta, la stufa accesa, la casa che cambia. 
Non ho fretta.
Conto le ore ma sono lente.
Accolgo.
Ogni piccola, piccolissima cosa che mi viene incontro.
Mi sorprendo a sorridere. Questo sì.
E poi a rincorrere i pensieri senza rovinarmi la sorpresa.

Poi.

Poi loro mi aspettano.


La verità è che non voglio.


Non è vero.

Li voglio.
Indissolubilmente e infinitamente Li voglio.
Qui, ora, subito, adesso.
Con il mio bicchiere di vino, il mio divano con la coperta, la mia stufa, il mio yoga, la mia casa che cambia. 
Li voglio. Qui, con me.
Ma senza passare per quel via di fatica.
Fatica.
Perchè spogliata di tutto il dolore, la vicenda risulta faticosa.
Che una dice, mi sto allenando, faccio esercizi, vado su e giù. In fondo si tratta di allenamento.
Alla fatica ci si abitua. 
Dicono.
E se non ce la faccio?

Cioè, ricominciare con tutto.
Le punture.
Ho ancora dolore alla schiena per le precedenti. Credo che quelle parti si siano atrofizzate.
E poi gli ematomi della cardioaspirina.
E il letto forzato.
Arriva la primavera. Che io odio, ok. Però i miei fiori senza di me, come fanno.
E di nuovo la solitudine, i dubbi, la paura che mi abita.
E la rabbia.
Il dolore.
maledetto.
E le lacrime.
E l'attesa. Le beta. Le eco. Gli ospedali.

E se non ce la faccio?

Lo so.
Non dovrei iniziare così.
Ma fatti i conti, in 365 giorni appena trascorsi, sono stata in gravidanza tre volte, con tutti gli elenchi paurosi appena fatti. In una di queste tre volte a momenti me ne vado a fare visita ai miei angioletti lassù.
Ho paura.
Ecco che è.
Paura sana.
Indiscutibile.
Umana.

Però poi mi dico che tutti abbiamo paura quando il destino ci mette in mano un'altra vita.

Chi non ne ha.
Io ne ho.
E mi vergogno a pensarlo, a raccontarla questa paura.
Dopo tutto quello che è successo, dopo tutto questo coraggio sbandierato ai quattro venti.
CORAGGIO.
ma dove?
che loro son lì che mi aspettano.
Tutte le sere.
E io sono qui.
Che faccio finta di niente.

Che non mi si dica che è normale. Non lo è. Questa è la mia realtà. Non è che siccome sembra difficile io posso essere esonerata. 
Chi me la firma la giustificazione se sono io la mamma?
Tutto dipende da me.
Non è che rimandando, la paura se ne va. Non è inversamente proporzionale al tempo. No.

E allora?
E allora io ci penso. Ogni ora, ogni minuto. Mi seguono silenziosi, zitti zitti, durante la giornata. Mentre svolgo la mia vita.
Mi seguono.
Ed io a volte mi volto, e sono lì.
E vorrei dir loro che stavolta andrà bene.
Che me li porterò a casa.
Che qui tutto cambia, ma è facile, tutto è più facile se loro si fermano.
Che - te lo prometto, saremo felici - dice Fabio.

Ma loro lo sanno.

Lo sanno?



martedì 12 febbraio 2013

Io mi inchino alla infinita coscienza che è dentro di me


Ong Namo Guru Dev Namo

And Gureh Nameh,
Jugad Gureh Nameh,
Sat Gureh Nameh,
Siri Guru Dev-eh Nameh



Oggi ho iniziato la prima lezione di Kundalini Yoga. 
Lo volevo fare da tanto tanto tanto tempo.
Ma la mia vita era ferma, in attesa. 
Invece ora no.
Ora accolgo.
Ora respiro.
Non sono più in attesa.
Guardo una me stessa diversa da quello che ero.
Osservo un cambiamento forse naturale
che, questo sì, attendevo.



Che il sole ti illumini sempre, 
l'amore ti circondi
e la pura luce dentro di te
guidi il tuo  cammino


Che il sole ti illumini sempre, 
l'amore ti circondi
e la pura luce dentro di te
guidi il tuo  cammino

guidi il tuo  cammino
guidi il tuo  cammino
guidi il tuo  cammino

sat nam
sat nam
sat nam


lunedì 11 febbraio 2013

si può?

ho il cuore in tumulto.
Sono giornate di Anna-staccata, di Anna-colpita, di Anna-arrabbiata.
I miei sentimenti si mischiano e rischiano di accavallarsi e diventare una montagna insormontabile da superare.
Poi mi calmo,  ma sento sempre il cuore battere forte.
Sono giornate di paura.
Di scelte urlate al mondo.
Di testa ovunque, a gridare cosa è necessario fare, come aiutare, cosa fare.
Si riaffaccia il respiro corto.
Poi però dormo.
E non mi sveglio con il cuore in gola. Però faccio sogni strani, in cui nella maggior parte, sono messa alla prova, sotto esame.
Sistemo la casa.
Ogni angolo diventa di paradiso.
Costruisco, ristrutturo, compro colori, pulisco, gratto via sporcizia e vecchiaia, butto via cose inutili dagli armadi.
Apro armadi.
Apro scatole.
Elimino cose vecchie.
Finalmente.
E poi mi sento bene.

Taglio via persone che mi fanno male.
Finalmente.
E poi mi sento bene.

Riesco a scegliere. Riesco a fare autocritica. Riesco a decidere senza dubbi per me stessa e per la mia famiglia. Riesco a comprendere oltre il comune senso della logica e della coerenza.

Questo ultimo aborto mi ha restituito una Anna più adulta, più vecchia, più donna, più compiuta.
Mi sento lontana dal mio bisogno di essere madre.
Cerco risposte. Ricevo risposte. Rispondo a domande.
Ho imparato tanto.
Ho ricevuto tantissimo.
Devo ringraziare moltissimo.
Vorrei parlare di tante cose, e non sto parlando di niente. Lo so.
Ho preso il ritmo, non ho il fiatone, so che sto camminando.
Oggi è pure il compleanno di Hope-tto, piccolo cecio della mamma sua e come lo scorso anno, che è nato sotto la neve, la giornata è stata terribilmente brutta, dal punto di vista metereologico.
Ma Hope-tto ha ricevuto lo stesso il suo regalo dalla nonna.
La mia nonna-mamma che, a modo suo, si sta riavvicinando a me, dopo tutto quel dolore lacerante, che non riusciva a gestire. Quella rabbia tra i denti a veder soffrire così sua figlia dentro quel letto e non poter fare niente, che il dolore ha tante forme, avvicina e allontana.

Sono arrabbiata, perchè vorrei gridare quanta disperazione provo di fronte a chi, rifiuta la vita.
Sento che sto recuperando tutte le forze, forse di più.
Sento che li vorrei qui con me, subito, adesso.
Ma poi penso che ho bisogno di tempo, che mi piace anche questo
non essere piena ma comunque non sentirmi vuota.
Comunque.
E allora capisco che, nonostante la paura, posso farcela. Ancora.


E infine.
Mi sento orfana da oggi. E non mi piace questa sensazione. Mi sento smarrita.
Come ci si può dimettere dal compito di essere padre? si può davvero?
Io, posso decidere di non essere più madre se lo sono?
no. non credo.
Ne rispetto la scelta e la comprendo.
Sono solo smarrita.
Come sempre.


mercoledì 6 febbraio 2013

Semplicità

E niente,
porto Hope a fare la pisciatina mattina e sera, non è un compito che mi spetta, io faccio tutto in casa. Lavo, stiro, cucino, faccio i letti, combatto la muffa : la muffa è il mio nemico, maledetta, e maledetti gli infissi senza gli spifferi, come quelli che aveva la nonna, che chiudono troppo, e maledetti gli architetti che progettano 'ste case con la cucina aperta, il bagno aperto, il soggiorno aperto, nella fattispecie maledetta me che ho progettato casa mia, che poi con le condense, i vapori, le muffe, non ci pensi mica....facciamo l'open space che fa tanto fico. E intanto io mi intossico. Se venite a casa mia mi trovate sempre con uno spruzzino di acqua e candeggina, che appena vedo la macchiettina nera sul soffitto parto con un cipiglio che è peggio di quello di un'assassina. E insomma, oggi mi sono intossicata con lo spruzzino e a momenti mi prende un colpo. Non respiravo più e sono dovuta uscire di corsa di casa. Ora mi fa male tutto il petto a forza di fare respiri lunghi e a fondo e mi brucia la gola.
Una deficiente con la laurea.
Comunque, dicevo, faccio tutto in casa. Ma la pisciatina di Hope non mi tocca di solito, non siamo compatibili io e lui per queste cose. Siamo compatibili per farci le coccole, quello sì, e per fare la pappa buona e il lattuccio la mattina. E questi giorni che Fab non c'è, mi sveglio con quel senso di disagio di quando la parte alla mia sinistra del letto è intatta, e non è tornato tardi dal lavoro, proprio non è tornato, ma queste mattine dicevo, mi sveglio e mi ritrovo Hoppetto che mi guarda. Appena apro gli occhi, ma proprio al primo battere delle mie ciglia, che si capisce che stava lì a fissarmi anche prima mentre dormivo, lui comincia la leccata mattutina. Mi lecca da capo a piedi, mi salta addosso, scondinzola, e mi fa le coccole. E a me si riempiono gli occhi di vita, di gioia, di felicità per l'inizio del nuovo giorno, e, ammetto, la giornata  inizia davvero bene.
Insomma, la pisciatina, avrete capito, tocca a Fabio.
Anche la cacatina in effetti, che poi proprio ina non è mai. Il cucciolo ci cresce e lunedì farà un anno. Un anno di amore. Che senza ora non potremmo stare, non sarebbe proprio possibile, non sarebbe possibile.
E insomma, stasera il mio tesoro torna, e ce ne usciamo noi due, andiamo a cena fuori, che manco fosse un mese che sta via. Ma mi manca come l'aria.
Che da quando viviamo insieme, a noi sembra che sia sempre vacanza.
Mi scapicollo la sera per tornare a casa, non vedo l'ora di tornare perchè ci siamo noi due, che ci riempiamo, ci viviamo, ci amiamo. Ma mica è sempre un idillio romantico d'ammmore. No. Ma quando mai.
Non lo è mai a dirla tutta.
Ma è la semplicità della nostra quotidianeità che ci riempie la vita.
C'è stato un tempo molto lontano, in cui con la mia testa bacata, pensavo che il matrimonio, la vita insieme, mi potesse castrare, potesse costringermi ad un ruolo che non volevo.
Quanto sbagliavo.
E' stato lo sbaglio più grande della mia vita.
Un periodo bruttissimo.
A volte penso che quello che mi sta succedendo sia una punizione derivata da quel brutto periodo di indecisioni. Mi dico che se avevo la testa ci arrivavo prima ad accorgermi che io senza di lui non posso vivere, e magari avremmo cercato i nostri figli prima.
E lo so che il gioco del "e se" non si fa, ma quando vivi certe situazioni, certi drammi, le domande te le fai, certi bilanci li fai.
E lo so, sarà pure sbagliato, ma mi viene di farli e non so come fermarmi.
Che poi, sappiatelo, lo avevo scritto l'altro giorno, che potevano essere pure gli ormoni a fare la loro parte,  per tutte quelle lacrime, oramai mi conosco, e purtroppo per le femministe, il mio umore è fortemente influenzato dalle mie ovaie.
Soprattutto ora, dopo gli aborti.
Soprattutto ora, che sento tutto, conosco il mio corpo, conosco me stessa.
Soprattutto ora, perchè poi, dopo, in menopausa, queste cose non ce le avrò più.
E chissà che Anna ne uscirà fuori.
E insomma, umori e ovulazioni a parte, oggi mi sento bene, e mi sento bene perchè sono qui, che aspetto che torni a casa, perchè Hope è qui al mio fianco che gioca da solo con una pallina da tennis, perchè fra poco mangio, perchè mi sono iscritta a un corso di yoga, ed era una cosa che volevo fare da sempre e rimandavo sempre, perchè domani lavoro, perchè fa freddo, perchè il cielo oggi era blu, perchè ho passato la mattina a pulire la cabina doccia e ora è linda e pinta e ogni volta che entro in bagno mi sale un moto di orgoglio, perchè non ho preso un kg da quando ho smesso la dieta, perchè i miei capelli sono lisci e per ora li voglio così, perchè mi sento liscia anche se sono da sempre riccia.

Insomma, la semplicità.
E' questa la risposta.

Quando ho capito che la semplicità del rapporto era ciò che volevo, ho scelto Fabio, ci siamo scelti, e abbiamo giurato davanti a Dio di essere per sempre insieme.
Quando la mia gravidanza inizierà e tutto sarà semplice, allora il mio bimbo si fermerà.
E' così che andrà.

lunedì 4 febbraio 2013

e se.


Ho lasciato la mia automobile in doppia fila, a quell'ora il quartiere Prati è invivibile, impossibile sperare in un parcheggio, ho pensato "ci metto un attimo" e ho attivato le quattro frecce.
E' stato quando ho ripercorso quei gradini, ho spinto quel portone, che violento, è arrivato come uno schiaffo, il ricordo.
Avevo camminato per quei corridoi dieci anni fa, alla nascita della mia Magali, ho ripercorso quelle stanze avanti e indietro, il 7 dicembre 2012, per dire addio al mio piccolo cavaliere, sono tornata stamane, per ritirare la cartella clinica.
E non sapevo che si sarebbero di nuovo innescati tutti quei meccanismi che in questi ultimi due mesi ho cercato di nascondere, di non far ripartire. Non lo sapevo.
Sono entrata a testa bassa, ho cercato di sorridere, mi è uscito un brutto sorriso, la bocca storta, il cappello calato sugli occhi. Ho preso quello che dovevo prendere e ho spinto di nuovo quel portone, di corsa, violentemente, senza guardarmi intorno, cercando di non tapparmi le orecchie con le mani, quando il pianto di un neonato si è fatto sempre più insistente.
Son salita in macchina senza nemmeno allacciare le cinture, sono scappata via, da quella strada, da quei negozi, da quel caos, da tutto quel dolore soffocato.
E ho iniziato a piangere.
Mi sono fermata al semaforo di via trionfale e quando quell'uomo si è avvicinato per vendermi gli accendini, scendevano due lacrime giganti e il naso era rosso, e si vedeva che sembravo un clown, nonostante gli occhiali da sole cercassero di celare la smorfia del mio viso.
E allora quell'uomo è andato via.
E ho guidato così fino a studio, con le lacrime che scendevano senza sosta, e il respiro a tratti, e i singhiozzi accellerati, e i capelli sugli occhi, e il naso che colava.

Ed io non lo so se ce la faccio.

Ed io non voglio essere più una mamma speciale.
Non voglio più parlare con bambini che non vedo.
Non voglio più sentirmi sbagliata.
Vorrei sentirmi normale.
Una donna normale.
Con un desiderio normale.
Quello di dare la vita. Di concepirla e trattenerla.
Perchè è così che deve funzionare.
Perchè ce la possiamo cantare in mille modi. Ma io sono stata programmata per questo.
A me non me ne frega niente della carriera, dei tacchi, della palestra, degli aperitivi, del lavoro figo, dei soldi.
Non - me - ne -  frega - niente.

Sono stufa di ritirare cartelle cliniche dagli ospedali, per leggere nero su bianco che i miei bambini si sono trasformati in materiale deciduo coriale, materiale deciduo ovulare, in residui.

Residui.

Non sono una persona forte come pensano ora tutti.
Una volta, prima di iniziare questa storia, non ero considerata una persona forte.
Com'è che adesso tutti pensano che io lo sia?
Non lo sono.
Crollo solo perchè ho percorso quattro gradini in fila.
E il cuore mi faceva male al solo ricordo di quanto è atroce un aborto.
Di quanto è innaturale.
crudele.
irrispettoso.
del tuo corpo.
del tuo essere mamma.
del suo non essere più vita.

E allora, mi chiedo come farò. 
E' un purgatorio questo.
Non posso fare a meno di desiderare mio figlio, ma questo desiderio mi porta solo dolore.
Non è vero.
Lo so che non è vero.
Ma sono stanca.
Vorrei veder crescere la mia pancia, senza dover programmare le gravidanze come fossero eventi epocali. Dover fermare la mia vita per poter permettere alla vita di andare avanti.
E allora, mi preparo.
Tutte le volte.
Mi preparo ad accogliere.
Sembro una formichina laboriosa che deve affrontare l'inverno, anche se sta arrivando la primavera.
Cerco di sistemare tutto, ogni angolo della casa, del cuore e del mio corpo se possibile, come se stessi partendo per un viaggio, un viaggio che ogni volta, spero non si interrompa.
Vorrei che tutto questo fosse spontaneo, naturale, normale.
Ma non lo è. Non lo è mai.
Ed è difficile. Difficile. 
Ed io non lo se ce la faccio.
Posso continuare a parlarne ancora, ma lo so che passerà. E' un momento di bassa, forse perchè Fab non c'è, forse perchè saranno gli ormoni, forse perchè davvero è troppo lungo questo cammino sin qua, non lo so.
Sto sbagliando?
Alla mia età, dovrei occuparmi di altro.
Dovrei pensare ad organizzare cene, coltivare una passione, scegliere nuove amicizie, frequentare altri ambienti, andare all'estero, scappare. Andare via.

E invece questo bisogno, questa responsabilità, mi inchioda ad una me stessa immobile.

C'è un'onda di dolore alta, che mi rincorre, a tratti mi raggiunge. Io nuoto veloce per non essere sommersa. Ma spesso arrivano i crampi e devo fermarmi, non ce la faccio a nuotare ancora.
Ho paura.
Tanta paura.
E se vanno via anche questa volta?





sabato 2 febbraio 2013

Il giorno della luce

Oggi è il giorno della luce.
Mia mamma mi ha regalato una candela presa in chiesa.
Io l'ho accesa ed è vicina a quella che non spengo da ottobre.
La luce è quello che cerco.
Io la vedo sempre.
La seguo.
Mi conforta.
Non ho paura per questo, anche se la paura a volte mi prende.


C'è stato un momento di disperazione.
In cui la luce non c'era. Mi era stato tolto il futuro, mi era stata tolta la luce. Ho avvertito come se una parte di me fosse stata tagliata via.
Come quando  mi hanno tolto la tuba in quel lago di sangue.
Ci sono cose che ci accadono e anche questa è vita.  Ci sono momenti senza luce. Bui.
Poi è necessario mettere gli occhiali e cercare quel lumino.
Ricercare se stesse per lenire la ferita di quel taglio inflitto.
La ricerca di sè è il dono che ho ricevuto in tutto questo tempo.
In questo giorno di luce accolgo questa nuova me, riconoscendo una parte della mia anima che già esisteva e che nascondevo.

Tutto quello che poi si impara è vita.

Ieri sera il mio amico dopo cena, mentre preparavo il caffè, sottovoce mi ha detto che mi vede bene, che si vede che sto bene.
In passato ho pensato non fosse giusto stare bene dopo un lutto.
La nuova me pensa sia giusto trasformare la perdita in ciò che può aiutarmi a vivere con una nuova consapevolezza.
La maggior parte delle persone che mi vogliono bene non hanno potuto vivere questa fase di buio: hanno atteso che io riaccendessi la luce per ritornare.
Questo mi ha fatto capire che non posso aspettarmi da altri ciò che io stessa non so gestire.
E per arrivare a questo sono dovuta passare per un momento di rabbia dopo il buio.
Ho dovuto dare una spallata a questo muro di rabbia, combattere come fossi in guerra, a denti stretti. Urlare. Piangere. Sbattere le porte.
Far passare tutto per questo corpo e questo cuore.
Per poi, sfinita, fermarmi e alzare lo sguardo verso quella luce che finalmente ho potuto rivedere.
Questo è il momento della calma, del silenzio, del dolore senza lacrime, dell'attesa.
Dell'accoglienza.
Non si passa indenni per tutto questo.
E lo so di aver perso per strada per sempre, pezzi che non torneranno più.
Ma dovevo farlo.
Era l'unico modo per affrontare tutto questo.
L'unico che conoscevo.

E va bene.
Purchè quella luce non mi abbandoni mai.