venerdì 31 gennaio 2014

London & love

Chiudere Londra in un post è una vigliaccata, ed è per questo che tergiverso da due giorni, cioè da quando sono tornata.
Londra è tutto un mondo che ti cade addosso, ti mastica e poi ti digerisce con un rutto.




Sono un'abitudinaria, per questo ogni volta che devo partire, per dovere o piacere, fatico.
Mi rode proprio a dirla tutta.


Quando ero piccola, il giorno prima delle vacanze, passavo la sera in camera a salutare il comodino, la tenda, il tappeto, le bambole, il cuscino, il settimino davanti a me:  mi scocciava proprio salutare il mio mondo anche se era per un buon motivo. Poi passava e ci mettevo un attimo a riabituarmi alla nuova situazione vacanziera.
E così oggi, anche se sono un'adulta e di viaggi ne ho fatti un po', non tantissimi ma abbastanza da farmi tornare periodicamente il  desiderio di viaggiare, fatico. Alla fine, quel giorno prima, non saluto più i mobili, ma mi invento scuse per non partire.
Stavolta è stato difficile chiudere la porta di casa, forse perché questo anno così duro da vivere, senza mai staccare, con il dolore sempre presente, fisico ed emotivo, me lo sono portato sempre dietro, dentro uno zaino.
Stavolta no. Stavolta bisognava andar via davvero, non per scherzo , e Londra ci ha accolto con la sua indifferenza e tutta la sua capacità accentratrice, come solo pochi luoghi sanno fare.
Londra è fagocitante e ti servono un paio di giorni per prendere le misure e farci pace.
Non sono una metropolitana. Lavoro in città e poi la sera dormo in paese. Roma mi basta e mi avanza. E' il giusto compromesso per una me comoda e poco amante della confusione ma non certo disposta ad isolarmi in un casale in mezzo alla campagna.
Mi basta la mia situazione, ma Londra è vigliacca. Ti fa l'occhiolino e tu ci caschi, affascinata dagli odori di curry e gomma bruciata e dai marciapiedi laccati della Piccadilly Circus e i negozi scintillanti di Regent Street.
Avevamo bisogno di questo, lontano da tutto, lontano dalle responsabilità e dai dispiaceri. Solo le nostre teste e i nostri cuori, con solo il dispiacere di aver lasciato Hope a casa, a cui telefonavamo tutte le sere.

Ho osservato le coppie ai tavolini accanto ai nostri durante la colazione. Osservavamo con un sorriso quelle famiglie con i bambini in vacanza, per poi dirci un attimo dopo che basta, noi siamo questo ora e non si può passar la vita ad osservare quello che saremmo potuti diventare.
Ma che volete farci, deformazione professionale, e ad essere professionisti noi, modestamente, lo siamo.

Ho incontrato Alessia a Londra, e poi una si dice perchè a Roma queste cose non succedono. A parte il fatto che Alessia a Roma non ci vive più, e vabbè, ma comunque, prima non ci siamo mai incontrate e allora?
La città divide ma forse è proprio la vita quotidiana che divide.
Alessia è una scoperta di dolcezza ed io, ora lei lo sa, avevo paura di incontrarla, come spesso mi accade ultimamente. Scrivo tanto qui. Mi metto molto a nudo. Esterno, condivido. A me sembra di essere sempre me stessa ma si sa, lo schermo filtra e io ho imparato che le parole possono essere lette con significati diversi e se si vuole leggere una cosa, quella cosa assume proprio il significato che si vuole leggere. E insomma, la questione è che io ho sempre paura di deludere le aspettative di chi mi incontra, e questo mi rende insicura e mi succede proprio con le persone a cui più tengo e di cui ho più stima.
E incontrarla così, in una sala della National Gallery, mentre cammini, così, nonostante un preciso appuntamento al bar, poi vedi suo figlio (di cui io sono da sempre innamorata) e pronunci ad alta voce il suo nome, in mezzo alla folla, e che ne so, magari ti sbagli, che noi fisicamente non ci siamo mai incontrate, e invece no, perchè quell'abbraccio lo riconosci, e lo senti quanto è caldo. E ti riconosci, nella folla. Ti riconosci, perchè noi, un pò di aura accesa ce l'abbiamo ancora, nonostante i piedi per terra, le difficoltà quotidiane e tanta tanta sofferenza.


Ho rubato una foto al National Gallery, lo so. Non si fa.

...che di tutti i quadri a me affascina sempre di più l'architettura !
   


Londra mi ha aiutato ad allontanarmi da un circolo vizioso di sofferenza, un distacco che cercavo da tempo e che bramavo, è che semplicemente non sapevo come fare.
Ora so come fare e ho riacquistato sufficiente forza per rimettermi in piedi e ricominciare a camminare. Mi serviva confrontarmi con un'altra realtà tenendo a mente quale è la mia.
Mi sento più sicura di me stessa.
Forse più stronza.
Critica e distaccata.
Ma molto più pronta ora.
E non è male questa nuova dimensione.

Rimango convinta del fatto che la coerenza è una qualità rara e la consapevolezza ancor di più e che non sono più disposta a lasciarmi schiacciare da persone, cose e fatti che non comprendono il mio modo di vedere la realtà, quello che mi è successo e quello che ho fatto. Prima mi mettevo in discussione, sempre, continuamente. In un confronto il mio primo giudizio era comunque prima di tutto contro me stessa. Oggi non ho più voglia di scusarmi di essere come sono.
E non ho voglia di continuare a vivere situazioni che non mi scaldano il cuore, non mi arricchiscono, mi riempiono di noia, solo perché le cose vanno così.
Staccherei le fondamenta di casa mia e porterei tutto, Fab, Hope, Ema ed io, a Londra, o in un deserto, se non fosse che sopra la mia casa ci abitano i miei genitori con i miei fratelli, e  so che non andrebbe bene a loro essere sradicati così senza motivo.

t-shirt in un mercatino di Covent Garden



Che poi una dice che la seguono e che ha un Grande Fratello Procreativo che la osseva, che la sera stanchi morti ci sediamo nella metro, alziamo lo sguardo e davanti a noi campeggia uno spot per la possibilità di concepire sopra i 40 anni!
Che una dice, ma che mi seguite? che volete da me?


Oppure che ne so, stai guardando le esposizioni del Natural History Museum e capiti qui:


E come siamo fatti?

E ti imbatti pure nella sezione del tuo utero, manco non l'avessi mai visto, e devi indovinare, pigiando su vari bottoni, se il cammino degli spermatozoi per arrivare all'ovulo nella tuba è esatto. Eh cavolo, quando indovini il percorso si illumina tutto di verde lo sperma dentro l'utero e tu sorridi soddisfatta, che queste cose è l'ABC per te.


Finchè non vai a sbattere contro di LUI, il mio LUI,  in scala gigante, che ciuccia dalla placenta e senti il cuore battere. Un affare alto due metri e mezzo che ti chiama manco fosse il Grande Maestro!
O forse sì per le malate di vita come me.

Pesante?

Io ci ho riso. Segno che sto guarendo.
Con fatica, ma ce la sto facendo.

E allora, sono un'abitudinaria dicevamo. E mi sto abituando ad una Londra dentro di me.
Tutta una vita nuova, con la mia casa e i miei amori ricollocati altrove, ma con me.

...con un paio di hunter boots puoi andare ovunque...








martedì 21 gennaio 2014

Di giornate normali e altre chicche.

38° giorno di meditazione: ma che brava che sono!! ce l'ho quasi fatta! orgogliosissima di me!
- 2 a Londra
- 1 per prendere di petto la Scienza, nella persona del CaroDott, e mettere nero su bianco che io credo in me stessa, nelle mie ovaie e in tutto il mio ambaradam procreativo e nel mio cuore, che è la cosa più bella che ho,  che se la Scienza non ci crede, pazienza, per ora ce ne faremo una ragione.


Ci sono poi le giornate che vanno bene, che poi sono quelle normali. Ti svegli, lavori un sacco, non dentro casa, fuori, e pigli pure una boccata d'aria che è molto meno alienante. Poi esci, ti fai una lezione di yoga serale (che non mi capita mai, di solito pratico all'ora di pranzo), e l'energia è tanta e una figata (soprattutto quando azzecchi il mantra che sai a memoria, e canti a squarciagola e tutti ridono!), e poi torni a casa alle venti.
Che non ti aspettano bambini urlanti e pappe da preparare, e letti da rifare.
Purtroppo no.
Però tuo marito e il tuo peloso ti vengono ad aprire la portiera della macchina e ci stringiamo stretti noi tre baciandoci tanto.
Poi ti fai una doccia calda e ti coccoli con la crema appena comprata.
Poi mangi una pasta con i pachino surgelati dell'estate scorsa, cucinata da lui.
E un mix di verdure ripassate in padella, cucinate da lui.
E il pane appena cotto rifatto con la pasta madre.
E un bicchiere molto abbondante di vino.
E un quadratino di cioccolata.
E poi ti addormenti sul divano davanti alla stufa.

Ecco, ci sono giornate così, senza invenzioni, normali, senza pretese.
Sono una persona che si accontenta?

Può darsi.

Allora vorrei accontentarmi di queste piccole cose per tutta la vita, se mi rendono così felice.


Per quante fasi dovrò passare prima di sentirmi ”normale”?
Sono passata per molte fasi: il periodo di ricerca di un figlio; poi l’arrivo di questi figli e poi la loroperdita. La fase più difficile rimane senza dubbio quella attuale, quella di ricerca della consapevolezza di me stessa.


Perché una donna abortiva passa per tante fasi: dapprima la disperazione, poi l’incredulità (perché a me?!), poi la speranza, quel bisogno di ricominciare subito a cercare, perché “se ce l’ho fatta una volta, posso farcela ancora”, poi la rassegnazione. Poi c’è quella fase in cui si osservano i bambini degli altri e non si può non pensare che il tuo, avrebbe avuto proprio quell’età e sarebbe stato proprio così, con quelle manine, quei progressi di crescita, quegli occhi, se fosse nato. Questa è la parte più dolorosa, quella che ti rende sola, scostante.

Non vuoi più vedere nessuno, non vuoi più ascoltare quelle frasi, non vuoi più leggere commenti. Non vuoi consigli da nessuno. Tu solo sai. Cerchi disperatamente storie come la tua, persone come te, che sono passate per quelle maglie strette. Ti senti unica, sola, lacerata dal dolore. Parli con quei figli mai nati. Immagini futuri che non si realizzeranno più. Ti chiudi. Il sorriso sul tuo viso si spenge.

Eri una persona solare, la tua casa era sempre aperta a tutti. Non credevi di dover passare per questo dolore. Chi si immagina di dover affrontare un dolore? E come poi?

La perdita di un figlio, che sia nel primo trimestre, o nel secondo o a termine, è paragonato dagli esperti, come uno dei dolori più intensi che si possano provare. Che l’avvenimento avvenga all’inizio, durante, o a fine gravidanza, è lo stesso, o perlomeno questa la risposta istintiva del nostro cervello.

Il nostro cervello, il nostro corpo, il nostro cuore, rispondono come avessero subìto la perdita di una persona cara. Un vero e proprio lutto.

Altra cosa è la nostra risposta all’esterno, nella società, perché agli altri poi, si devono (per forza) altre risposte. Ci si sente dire che è normale subire una perdita nel primo trimestre. E’ la normalità. Non ci credi, ma cerchi di convincerti che è vero, tanto più che è proprio il tuo dottore che te lo dice.

Poi ti senti dire che un aborto così all’inizio della gravidanza non è una vera perdita, perché il feto non è formato, e un non-feto non è una vita. Istintivamente sai che non è così. Tu sai che ti sei sentita da subito diversa da quando lo hai concepito. Tu ti sei sentita mamma da subito, ma le carte dicono il contrario.

Nella mia lunga esperienza di abortiva, ho imbarazzo davanti ad un medico che mi chiede per la prima volta: “Figli?” perché le carte dicono di no. Cosa vuole sapere? Se ho partorito o se non ho mai voluto figli?

Perché io non sto in nessuna delle due categorie.

Come lo spiego che i miei figli hanno le sembianze di un albero piantato il giorno della sua morte, o di un angelo di vetro accanto ad una candela che accendo tutte le sere, o di una pietra incisa con su scritto un nome.

Noi abortive non siamo madri per gli altri. Lo siamo dentro di noi, nel nostro cuore.

Viviamo sdoppiate per sempre. Una parte attaccate al passato, a quello che non è stato, una parte con uno sguardo al futuro, tenendo per mano il presente, cercando di farselo andare bene, nel miglior modo possibile. Una parte per gli altri, che non sanno.

E’ la fase che viene dopo tutte queste appena descritte, che è davvero la più difficile da vivere.

Quella della consapevolezza del sé.

S’impara con il tempo a far passare per se stesse la vita e la morte contemporaneamente. Si accetta il proprio corpo come culla e poi tomba. Si capisce che non è davvero colpa tua.

Si benedicono quei figli che non sono stati, perché il loro arrivo e poi la loro dipartita, sono stati il mezzo per arrivare a una profonda conoscenza di se stesse e del mondo che ci circonda. E allora s’impara anche a far pace con gli altri, prima che con se stessi.

Per quante altre fasi si deve passare ancora, per sentirsi una donna normale?


venerdì 17 gennaio 2014

Quei lunedì.

33° giorno di meditazione Adi Shakti
II° ciclo e ultimo di agopuntura per "un buon concepimento"
-7 giorni a Londra
-15 giorni all'inizio di un cantiere solo mio
3° giorno di dolore delle cicatrici della geu
5° giorno di ciclo. L'ennesimo.


Ci sono dei giorni che è lunedì, che anche se non è lunedì, è come se lo fosse.
Dei giorni in cui devi ricominciare di nuovo daccapo tutto.
Dei giorni in cui non ti va, che non è possibile che di nuovo devi ricostruire tutta l'impalcatura del tuo benessere.
Che non ce la fai a portare avanti la settimana che ti aspetta, e i giorni, e i mesi.
Ancora.
Che è dura, nonostante tutto, nonostante i sorrisi.
E sei stanca di un sacco di cose, di un sacco di situazioni, di un sacco di persone.
E non puoi dirlo.
Perchè ora sei il guru della consapevolezza, della speranza, della luce.
Ma non è così che funziona.
Sono sempre io e certe volte non ho voglia di fare la forte.
Vorrei battere i piedi e urlare e lasciar fare agli ormoni, che da sempre hanno avuto la meglio sul mio carattere. Mi piacerebbe tanto che in quei lunedì la razionalità non prevalesse. Che non mi si ricordasse che quarantanni, sei aborti senza causa, una tuba, e tanto dolore accumulato, è troppa roba messa tutta insieme.
Che non ce la posso fare, lasciando che sia.
Perchè pensi a tutto questo, tutto insieme, e ti dici Ma dove vuoi arrivare tu? Che ti si incollano addosso quegli occhi di compassione e di scrollata di spalle, che tu no, tu adesso basta. E' ora di voltare pagina e non vivere più attaccato a qualcosa che non si realizza. E' ora di dire a te stessa che hai sbagliato, sbagli a vivere così, che una vita sospesa, che vita è?

Che io lo so che un cane non è un bambino.
Lo so che una nipote non è un figlio.
Lo so che non sono una madre.
Fatico.
Fatico quando arrivano questi lunedì, fatico che la luce non si accende.
E poi mi dico che va bene lo stesso. Che se sono tornata a piangere per questo, vuol dire che un poco sto guarendo dal dolore grande, quel dolore che mi ha immobilizzato e che mi ha fatto vivere tutto il resto come inutile.

E cerco di guardare avanti, di osservare il bello della vita, di godere delle piccole cose, di coltivare il sorriso senza crearmi aspettative senza senso. Ma questi lunedì qui, non ce la fai. E' davvero difficile.
E non piangi. Ancora no. Non più. Fai finta di niente. Solo tu lo sai che gli angoli della bocca sono in giù mentre forzi un sorriso. E intanto ti spezzi dentro.

Penso che oggi, ventinove anni fa, è nato il mio ultimo fratello e che mia mamma quando lo ha partorito aveva quarantuno anni. Penso che erano terrorizzati dalla possibilità che non sarebbe nato sano, come tutti le dicevano, visto la sua età. Mia mamma aveva altri quattro figli prima di lui.
Ed io sono qui, ferma, quasi alla sua stessa età. Senza figli vivi.
Che non ho nessun appiglio concreto, e vivere senza razionalità non è che è da tutti.
Si vive bene senza ma non è facile.
Per niente.
In questi momenti di disperazione e di buio, ti sembra di nuotare nel niente, nel vuoto, affoghi.
Poi ti ricordi che hai imparato a respirare anche senza ossigeno e allora respiri.
Ma è difficile.

Partiremo per un viaggio a Londra tra una settimana.
E' un viaggio regalo che avremmo dovuto fare da un anno e che l'anno passato non ci ha permesso di fare.
Ho, con molta gioia, organizzato tutto, ma ho sperato in cuor mio di non dover partire per altri motivi, quei motivi che ora non oso nemmeno più scrivere qui.
Quei motivi non sono arrivati.
Io dovrò partire, come fosse una condanna.
Ci sono persone che ci invidiano. Siamo arrivati al punto che si invidia la nostra libertà, il nostro stile di vita senza orari, il nostro poter dormire fino a tardi, il nostro poter viaggiare senza rendere conto a nessuno, il nostro lavoro senza obblighi. Ho letto anche articoli in cui si afferma che le coppie senza figli sono più felici.
Sono arrabbiata. Finalmente di nuovo arrabbiata con il mondo. Senza che il mondo mi scivoli addosso. Si pretende di più da gente come noi: ci si sente dire di tutto, si devono pagare i conti senza sconti. Si pretende, perchè i figli non sono tutto, e poi gli altri, senza, non sanno vivere.
Voglio sentirmi normale.
Voglio potermi sentire in diritto di piangere se arriva il ciclo, come quattro anni fa, all'inizio, quando non sapevo niente, quando mi sentivo privata di un diritto che per tutte era scontato.
Voglio potermi sentire in diritto di chiedere un figlio, naturalmente, nonostante i quaranta anni, nonostante l'unica tuba rimasta, nonostante l'ovulazione che fa come gli pare, nonostante tutti gli aborti.
Vorrei sentirmi in diritto di gridare il nome di mio figlio.




Succede in questi lunedì, anche se non è lunedì.

sabato 11 gennaio 2014

05 HAPPY PILLS: la capacità di saper vedere

...e apriamo l'anno così.
Perchè la bambina di F., che è la mia amica che ha ispirato le happy pills, sta per nascere e perchè lei è sempre stata qui, con il suo silenzio e il suo amore di chi sa.
Ha condiviso nonostante la paura e perchè mi ha promesso che sarò la prima a ricevere una foto della sua  bambina appena nata e perchè, le ho chiesto di chiederle, appena la vedrà, come stanno i miei bambini.

Questa bella pillola di felicità che vi posto oggi,  mi è stata trasmessa invece da una ragazza rammaricata di non aver potuto mandarmi la sua personale happy pill perchè anche la sua storia non ha un lieto fine (per ora). E così prende a prestito quella di un'altra donna.
Io credo che la capacità di riconoscersi è di pochi. Esiste perchè ci si immedesima nell'altro ma per riuscirci si deve avere la voglia di farlo. Non è solo questione di esperienza. Io ho ricevuto più amore da chi non sapeva come avvicinarsi ad una Anna dolorante e scostante e con il cuore in mano mi faceva capire che c'era, che da chi aveva la supponenza di sapere e per questo pretendeva da me un comportamento consono.
E' come se a me, e molti di voi, avessero regalato un paio di occhiali che ti fa vedere i fatti in maniera diversa rispetto a quando eri miope. Ed io preferisco avere questo punto di vista e sapere che sono malata perchè i miei occhi senza non vedono bene, piuttosto che pensare di essere sana e poi essere cieca dentro.

Ringrazio ancora una volta chi mi scrive e chi mi manda regali preziosi (citerò una per tutte: mammachemozione!  che con il suo regalo e il suo amore ci ha fatto piangere di gioia...), io non sono capace di fare questi gesti e mi meraviglio ogni volta che qualcuno li fa a me. Mi sento in debito e a volte l'affetto che ricevo lo sento immeritato.
Ho spesso ricevuto molte critiche, soprattutto per questo blog, e ho dato molto più spazio a questo che al resto. Forse perchè quando stai male, sentirti criticare pesa di più. Ora sto bene e dunque so che continuerò a ricevere critiche e so di non poter piacere a tutti per forza, un tempo questo mi pesava, perchè pesava sulla mia insicurezza. Oggi non mi pesa più, perchè sono più sicura di me stessa e questo, ve lo assicuro, è un grande regalo che ho fatto a me stessa alla soglia dei quarant'anni.
Parlerò spesso di questo numero, lo so. Esorcizzo cosa mi fa paura. I quaranta li sento amici perchè mi sento donna, e amo visceralmente essere donna e i quaranta ti fanno sentire piena, completa, riuscita, realizzata. A pensarmi così non invidio per niente i miei venti o i miei trenta. Ricordo perfettamente il passaggio per questi traguardi e amo tutto quello che poi è accaduto di me stessa dopo.
I quaranta non sono miei amici se penso che mio figlio non è con me.
Se penso che davvero è tanto tardi per trasmettere un pezzo di me stessa.
Se lascio che quel senso di angoscia la faccia da padrona.
Se penso che se fosse nato il mio primo figlio, a fine mese avrebbe compiuto tre anni e la mia vita sarebbe stata per forza diversa.

Ma sto divagando troppo.
Lascio questo racconto qui, lo appoggio delicamente e gli faccio posto, là, dove sono state accese tutte le altre lucine.


E’ tanto che volevo scriverti anche perché mi dispiaceva non aver avuto nessuna Happy Pills da mandarti. A suo tempo, mi hanno fatto piangere e sperare… Ora ce l’ho e sperando di farti piacere te la scrivo perché mentre me la raccontavano io non ho fatto che pensare a te, nonostante tu non abbia un volto per me.

Qualche settimana fa ho avuto una reunion di vecchissimi amici..non vedevo qualcuno di loro da circa 20 anni. Abitiamo tutti in città diverse, siamo figli di persone che sono nate nello stesso piccolissimo paesino e che per anni sono tornate in vacanza in quel posto trascinandosi dietro i loro figli. Perciò sono i miei amici di infanzia che attraverso facebook hanno deciso di rivedersi.
Io ero felice e naturalmente spaventata, ho sempre avuto notizie dai miei o dai miei parenti di tutte le vicende ma non ci eravamo più incontrati e io sapevo bene che avrei trovato tanti genitori con TANTI bambini…e noi (io e il mio compagno) eravamo soli.
Così è stato, e come quasi sempre succede chi non ha figli si ritrova a giocare con i figli degli altri. Io e il mio compagno eravamo attratti dai bambini e i bambini da noi. Tanto da scatenare le domande da parte di tutti sul perché non avessimo figli.
Poi ho visto LEI, questo angioletto di 4 anni che mi guardava da infondo al tavolo con occhi intensi e CONSAPEVOLI. Ho sentito un brivido, lei mi aveva riconosciuta, sapeva che io ero una madre mancata. Le ho sorriso, lei si è illuminata e mi è venuta a sedere in braccio, senza dirmi niente. Abbiamo colorato, giocato, ho provato uno scambio profondo…è stata una sensazione stranissima.
Sono abituata a stare con i bambini piccoli anche se non li ho mai avuti, ho fatto l’educatrice in un nido per un po’ e ho una nipotina e poi…quando ti piacciono i bambini, generalmente capita che tu piaci a loro.
Ma questa era veramente una sensazione diversa. Lei sapeva qualcosa, inconsapevolmente, ma sapeva. Siamo state a lungo insieme, sua mamma e io siamo praticamente cresciute insieme fino a 18 anni..poi ci siamo solo riviste di sfuggita ogni tanto. Verso la fine del pomeriggio sono rimasta per un po’ sola con mamma e figlia. Io le guardavo ammirata e la mia amica, in maniera molto delicata mi ha chiesto come mai non avessi figli. Le ho detto dell’attesa, dei progetti fatti, delle speranze, della scoperta dell’endometriosi, dell’operazione, della di nuovo speranza che succedesse qualcosa, dei miei ovuli considerati vecchi, della menopausa precoce, della due FIVET andate male, della paura di affrontare un’ovodonazione.
Così come se stessi parlando ad una delle mie migliori amiche…e con quell’angioletto che giocava vicino a noi, che ogni tanto mi guardava. Con me che mi adoperavo perché non sentisse i miei racconti. La mia amica mi ha ascoltata. Poi mi ha detto: “Ne ho persi 5 prima di avere lei”. Così, a bruciapelo, anche lei, sono convinta, sicura che potesse aprirsi con me. Io non lo sapevo.
La piccolina si è avvicinata e io ho fatto per cambiare discorso, ma la mia amica è andata avanti. La sua bambina sapeva dei fratellini e sorelline che non c’erano più, di un altro fratellino o sorellina che non era rimasto neanche dopo la sua nascita e nonostante le cure per le difese immunitarie che la mia amica aveva continuato a fare negli anni.
Lei teneva la mano alla sua mamma e con l’altra giocava con le mie dita..e mi guardava con quegli occhioni profondi.
Poi ascoltai la sua storia.

Il primo bambino perso a 23 anni, pensi che sia “normale”. Capita a molte e anche se fa male sai che presto conoscerai la gioia di essere madre. E poi in 10 anni altri quattro. Nessun problema riscontrato a livello clinico. Mi ha raccontato del dolore, fisico e psicologico, dei sensi di colpa, di un desiderio più grande della paura e della morte. Poi un giorno un ginecologo nuovo le disse che aveva le difese immunitarie basse e gli diede una cura. Restò incinta di nuovo e questa volta LEI rimase. Il medico le disse che non potevano sapere se fosse stata la cura (ne perse un altro dopo anche sotto cura). Mi disse di non arrendermi mai. E per la prima volta sentire quelle parole non mi ha fatto arrabbiare. Perché di solito mi arrabbio, perché non è una questione di volontà o di arresa....
Mi disse che anche a lei avevano detto che probabilmente sarebbe andata in menopausa molto presto perché le sue ovaie erano stanche e non producevano ovociti di buona qualità. Le dissero di smettere di accanirsi, che le avrebbe portato solo dolore e pericolo. Mi disse, per la mia situazione, che l’ovodonazione è la donazione di un organo, che un rene lo prenderei, o una cornea, per tornare a vedere…perché non dovrei prendere una cellula per dare vita a un sogno così bello?

Mentre lei mi raccontava e quel piccolo fagiolino mi guardava io non ho fatto che pensare a te, ai tuoi angioletti e a quelli che rimarranno. Non può che essere così.
So, l’ho visto negli occhi della mia amica, che la nascita di un figlio non cancellerà gli altri. Ma quelli che arriveranno saranno speciali e amati come pochi.